“Primo, l’educazione è un diritto di tutti gli uomini ed è una responsabilità pubblica; secondo, l’istruzione e la conoscenza sono imprescindibili per garantire miglioramenti significativi nella salute, stimolare la crescita economica, liberare il potenziale e la capacità di innovazione necessari per costruire società più resilienti e sostenibili”.
Dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, 6 dicembre 2018

L’emergenza da Covid-19 ci ha forzato a sperimentare una modalità di didattica nuova, totalmente a distanza, che ha mostrato alcuni forti limiti, ma anche buone potenzialità. Questa emergenza ci obbliga a interrogarci profondamente sul senso dell’educare e su come questo possa e debba declinarsi a partire da una cornice di riferimento socio- economica diversa e in costante evoluzione. Vogliamo pertanto porre una riflessione su queste tematiche a partire da una prima distinzione tra i due termini educazione e istruzione, aspetti che sono reciprocamente in relazione come mezzi per lo sviluppo dell’individuo e della società e che richiedono oggigiorno una ridefinizione.

Educare e Istruire

Educare significa stimolare e far nascere l’espressione di caratteristiche e risorse che sono già presenti potenzialmente nella persona con l’obiettivo di promuovere il pieno sviluppo dell’individuo.
Istruire significa costruire da una posizione esterna di maggior potere e autorevolezza le competenze dell’allievo.
Istruire ed educare sono quindi collegati tra loro, infatti non ci può essere istruzione senza educazione, e non ci può essere educazione al di fuori di una relazione interpersonale “significativa”. La crescita e lo sviluppo della persona non possono quindi avvenire senza una significativa e coinvolgente relazione emotiva. 
Il rapporto insegnante/allievo, istruttore/praticante, genitore/figlio ma anche quello tra individuo e società, è sempre un rapporto in cui entrambe le parti s’influenzano vicendevolmente. Da qui, l’impatto di questa pandemia sul sistema educativo e sul livello di istruzione. 
Nonostante la didattica a distanza e lo smart- working abbiano modificato i processi e il modo di stare insieme, gli attori in causa rimangono le figure dell’allievo/figlio e dell’educatore/genitore. 
Vediamoli insieme.

L’allievo/figlio

Nessuno nasce come una “tabula rasa” su cui vengono poi incise istruzioni attraverso le diverse forme di apprendimento e di istruzione, siamo infatti tutti portatori di un patrimonio di comportamenti ereditati nel corso dell’evoluzione che consentono, fin dai primi istanti di vita, un immediato adattamento all’ambiente. 
Il processo di apprendimento del bambino inizia fin dalla nascita (e ancor prima in fase di gestazione) nell’interazione con il genitore. Già in questa prima interazione è evidente la ricerca di contatto, la sintonizzazione motoria, uditiva, visiva, tattile con il genitore, che riflette come uno specchio i richiami del figlio aiutandolo così a riconoscersi e a costruire la propria identità.
La mente è fin da subito attiva anche nella ricerca di nuovi stimoli attraverso la curiosità, e la spinta all’esplorazione dell’ambiente che sono istinti innati nella nostra specie, ma possono essere influenzate dall’ambiente. Un educatore, genitore o un ambiente che non stimola o, tanto peggio, non consente a questa necessità di esprimersi, blocca una delle principali risorse per favorire l’apprendimento. Curiosità e piacere della scoperta sono certamente spinte di crescita che consentono di superare le difficoltà e i problemi che immancabilmente possiamo incontrare nel corso della vita e di creare sempre nuovi legami con l’ambiente.

L’educatore/genitore 

Colui che educa e insegna deve avere consapevolezza che lui stesso si trova a essere portatore, oltre che di un proprio individuale e unico modo di essere, anche della cultura e dei valori della società e dell’ambiente in cui è cresciuto e in cui si è formato. 
Chi ha il ruolo di educatore comunica con tutto se stesso, non soltanto con la parola, ma anche con i gesti, la postura e attraverso questi esprime la propria pazienza, la propria motivazione, comunica il proprio entusiasmo. 
Chi ha il compito di educare deve anche essere consapevole che per trasmettere ciò che è deve diventare modello significativo è cioè trasmettere sia le proprie competenze e conoscenze ma anche quella dimensione affettiva ed emotiva senza la quale qualsiasi conoscenza resta un seme senza possibilità di sviluppo.
L’elemento cruciale del processo educativo è quindi l’essere fondato su una relazione di reciprocità in cui ci sono almeno due soggetti attivi: l’educatore e l’allievo.
È molto importante che l’insegnante/educatore sappia che colui che apprende possiede una sua propria identità, in parte già formata e in parte ancora da sviluppare. Pensare che in quel preciso momento l’allievo si sta comportando nell’unico modo possibile per lui per ciò che fino ad allora ha potuto apprendere, e pensare allo stesso tempo che sta facendo il meglio che può per come è, può aiutare chi educa a trovare la chiave di accesso alle risorse e a stimolare la crescita e il cambiamento.
Riconoscere la “dignità” e rispettare il modo di essere di un allievo in quello specifico momento non vuole assolutamente dire che non ci siano ampi margini di miglioramento. Anzi, vuole dire cogliere, al di là dei limiti mostrati in quel momento dall’allievo, le risorse e le potenzialità che gli hanno permesso di vivere fino a quel momento e riuscire a utilizzarle per superare quei limiti. 
Questo è l’atteggiamento che istintivamente ha ogni genitore nell’educazione dei figli: i metodi educativi di un genitore possono funzionare bene con il primo figlio, ma produrre effetti negativi con il secondo; perché? Perché sono le caratteristiche del figlio a determinare come questo reagirà alle sollecitazioni del genitore e non unicamente i metodi educativi del genitore. Affinché l’intervento educativo del genitore possa avere successo con il secondo figlio, il genitore deve “scoprire” e utilizzare con il figlio solo quei comportamenti che sono in sintonia con la sua personalità e le sue tendenze. 
Anche l’insegnante si trova a dover comunicare la propria conoscenza modulando le modalità e il livello della propria comunicazione all’età degli allievi e alla loro fase di sviluppo.
Stimolare, attivare, accompagnare, riconoscere e far riconoscere le risorse sono le azioni che consentono all’insegnante o all’educatore di far crescere l’allievo, pazienza, attenzione, cura e fiducia sono le doti che chi educa deve coltivare in sé stesso. 

Conclusioni

Educare è un’arte che richiede competenze, attenzione, capacità creativa, saper ascoltare e alla base di tutto sapere comunicare. 
Si è sempre più consapevoli che senza un’istruzione di qualità inclusiva ed equa e opportunità per tutta la vita per tutti, i paesi non riusciranno a raggiungere l’uguaglianza. L’educazione, favorendo cultura e socializzazione, diventa il tramite per migliorare i rapporti dell’individuo con la società consentendo alla persona di esprimere il proprio potenziale in favore di una crescita collettiva. I dati in nostro possesso (ad es: The Impact of COVID-19 on Education) evidenziano, purtroppo, come una delle conseguenze più marcate di questa pandemia sia l’allontanamento da questa meta, con forti discrepanze di accessibilità ad un buon livello di istruzione. 
Ad oggi, non abbiamo contezza di quali potranno essere a lungo termine le ricadute educative di questa emergenza, rimane però necessario continuare ad avere una visione dell’educazione come un processo dinamico, che coinvolge più attori e che merita pur in questo faticoso contesto, una riflessione profonda e istituzionale. 
Quali sono stati gli impatti di questa pandemia sul vostro stile educativo? Vi siete trovati in difficolta? 
Il Centro Clinico Sempione da sempre si occupa di sostegno alla genitorialità e, in questo periodo, con queste difficoltà rimane un punto di riferimento che aiuti le famiglie a ritrovare il filo rosso del crescere insieme.